Essere alunni ed insegnanti ai tempi di una pandemia
Gli anni scolastici 2020 e 2021 entreranno sicuramente nella storia come gli anni in cui la scuola, insieme al resto del mondo, è stata messa alla prova di fronte ad un’emergenza sanitaria che ha fatto sì che gli spazi, i tempi e i protagonisti dell’ambiente scolastico paradossalmente “traslocassero” nelle proprie abitazioni. Ormai da mesi ci si confronta su come questo comporti un cambiamento non sono a livello organizzativo e strutturale, bensì di significati all’interno di un contesto che è quello scolastico che di significati ne è denso. Ciò ha colpito chi la scuola non solo la fa ma ne è parte integrante ed elemento costitutivo: alunni, professori, personale scolastico. La campanella suona virtualmente, il professore da dietro la cattedra entra nelle case dei suoi alunni osservandoli da un altro punto di vista e, questi ultimi, possono dare un’occhiata nel mondo privato del loro docente, per scoprire che è più reale e umano di quanto lo immaginavano da dietro il loro banco. Potrebbero scoprire che ha un cane o un gatto e magari vederlo di “persona”, vedere l’arredamento di una parte della casa e, perché no, scoprire quanto manca vederlo entrare dalla porta della classe con in mano le verifiche pronte per essere consegnate. In questi mesi, la didattica a distanza (DAD) è entrata a far parte del linguaggio quotidiano di famiglie, studenti ed insegnanti. Come sottolineato da una nota del MIUR del 17 marzo 2020, la DAD permette di “mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza, combatte il rischio di isolamento e di demotivazione”. Le parole chiave diventano comunità, appartenenza, motivazione; lo sguardo è rivolto non solo alla tematica dell’apprendimento e della programmazione ma all’aspetto emotivo che coinvolge l’intero sistema scolastico, nessuno escluso seppur sotto diversi aspetti e con diversi strumenti per farvi fronte. Sospendere le attività didattiche in presenza non richiede solo di ripensare la didattica e la modalità di apprendimento-insegnamento a distanza, ma di rivedere e ripensare al modo di stare e partecipare ad un contesto socio-educativo che vive di relazioni. Doveroso è chiedersi: come stanno gli alunni? Come stanno i professori? Per capire come sta la scuola e come poter aiutare chi la scuola la fa e la vive. Alunni e professori si sono messi in gioco quasi ad armi pari, scambiandosi conoscenze e competenze in base alla propria esperienza ed alle proprie risorse con l’obiettivo di mantenere, seppur a distanza, la rete di legami che caratterizzava la loro classe.
Alunni: “Prof come sta? Le faccio vedere come condividere il documento? Provi a modificare il layout così ci vede tutti!”
Professori: “Ragazzi, mi sentite? Ci siete tutti? Come state? Siete riusciti a scaricare il materiale che vi ho mandato? È tutto chiaro?”
Da professionisti, non possiamo che rivolgere lo sguardo alla scuola e a chi ne fa parte; dobbiamo domandarci: come stanno gli alunni? Come stanno i professori? Come possiamo aiutare e sostenere loro dal punto di vista emotivo? Oggi, di fronte all’altro è ancor più doveroso chiedersi come sta la persona che abbiamo di fronte, come ha vissuto il periodo di lockdown, se ha avuto o meno delle perdite o dei lutti, come vive il guardarsi dallo schermo di un computer, come vive il mostrare agli altri un pezzo di mondo personale come la sua cameretta o il suo salotto, e ancora se sia stato facile, spontaneo e naturale, rivedere il proprio modo di insegnare/apprendere trasformandolo in digitale. Quest’attenzione emotiva all’altro, va oltre il ruolo di alunno o di insegnante e permette di mantenere la rete di legami di cui la scuola è fatta, con l’obiettivo di mantenere vivo quel senso di comunità proprio del contesto scolastico. In altre parole, in questa fase non è tanto importante trovare tutte le risposte, ma porsi le giuste domande.
A cura della Dott.ssa Marina Beltrami, psicologa Cooperativa Casa dello Studente