Conclusione degli studi e ingresso nel mondo lavorativo: come promuovere questi interessi?
La nostra società ha istituito l’istruzione per formare le persone sia come cittadini sia come lavoratori. L’aspettativa di chi ha già percorso tutto l’iter, a partire dalla conclusione degli studi fino ad arrivare all’inserimento professionale, è vedere le nuove generazioni ripercorrere le stesse tappe. Tale prospettiva non necessariamente corrisponde con le effettive decisioni che ogni giovane fa riguardo alla propria vita. Inoltre, non sempre il territorio offre un ampio ventaglio di possibilità formative e/o lavorative tra cui scegliere.
Negli ultimi 10 anni le scienze umane hanno posto particolare attenzione riguardo al proseguimento degli studi e all’ingresso nel mondo lavorativo dei ragazzi. In particolare, sono state identificate due fenomeni sociali importanti che interessano la fascia di età compresa tra il termine dell’istruzione obbligatoria (in Italia fissata a 16 anni) e i 30-35 anni: NEET ed EET.
NEET è l’acronimo inglese di “not (engaged) in education, employment or training”: indica persone non impegnate né nello studio né nel lavoro. Le persone che presentavano queste caratteristiche nel 2016 erano 2.349.000. L’aumento rispetto al 2007, quando erano 1.788.000, è stato rilevante: +31,4%. Il picco più elevato è stato raggiunto nel 2014 con 2.413.000. Su questi dati ha inciso la crisi economica scoppiata nel 2008. Prima della recessione, infatti, circa un giovane su due era impiegato a scuola o in un lavoro.
E’ necessario sottolineare che l’incidenza di questo fenomeno scesa del -5,7% dal 2014 al 2016. Inoltre, anche la composizione di questi dati è cambiata. Infatti, nel 2016 tre i giovani su quattro, inoccupati nella fascia d’età tra i 15 e i 29, erano nuovamente interessati a rientrare nel mondo formativo o professionale e hanno incominciato a fare tentativi a tal fine.
EET è l’acronimo inglese di “Employed-Educated and Trained”: indica persone che proseguono gli studi superiori o universitari e che trovano un impiego professionale o creano una nuova attività lavorativa. Considerando i settori che in Italia si stanno sviluppando positivamente (ristorazione, servizi alberghieri, informatica, edifici e paesaggio, funzioni d’ufficio e altre imprese), tra il 2009 e il 2016 i titolari d’impresa giovani sono aumentati del +32%, passando da 27.335 a 36.079.
Tutti i dati considerati sono stati tratti dalle statistiche ISTAT pubblicate nel 2017 all’interno del documento “Il mercato del lavoro”. A fronte di queste informazioni è necessario chiedersi, dal punto di vista sociale e psicologico: come è possibile favorire l’interesse nel completamento del percorso formativo e l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani?
Spesso, gli adulti tentano di spronare i giovani con le migliori intenzioni attraverso modalità che, però, talvolta risultano poco efficaci. Talvolta chiediamo al giovane di “fare ciò che non sta facendo”, proponendo noi “idee già preconfezionate” oppure volendo da lui “un’attivazione sollecita”. Ecco qualche esempio:
- Tuo cugino tra un mese si diploma, dovresti riprendere in mano i libri, così ci arrivi pure tu!
- Sono andata all’informagiovani, c’è qualche offerta di lavoro. Perché non vai a vedere anche tu?
- Sono stufo di vederti gironzolare per casa. Quando ti trovi qualcosa da fare?
Perché queste modalità, seppur espresse in buona fede, comportano dei risvolti potenzialmente negativi. Infatti, il rischio di offrire “idee preconfezionate” è che l’altro non le senta come proprie e sarà poco interessato a perseguirle; mentre, il rischio nel volere “una attivazione sollecita” è di generare nel giovane ira verso chi “richiede” o angoscia per la propria condizione e nessuno di questi due stati d’animo è funzionale ad un cambiamento positivo. Infine, in entrambi casi, sia nel proporre “idee preconfezionate” sia nel volere “un’attivazione sollecita”, l’accento è posto su “ciò che il giovane non sta facendo” e questo comporta una identificazione del ragazzo come un “nullafacente”. Gli studi psicologici ci dicono che più una persona si identifica come un “nullafacente” meno voglia avrà di fare qualcosa di diverso.
Allora, se è meglio abbandonare queste modalità, come è possibile promuovere l’interesse nel completamento del percorso formativo e l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani? Di seguito vi offriamo alcuni spunti per cercare la modalità consona ad ogni specifico ragazzo.
Chiedere al giovane quali sono i suoi interessi.
Capita che i ragazzi si sentano poco capiti dagli adulti che li circondano. Vivono in un’epoca diversa da quella in cui si trovavano i genitori, gli insegnanti e i datori di lavoro alla loro età. Vivono sensazioni personali e non generalizzabili ai coetanei. Hanno idee che, a volte, nascondono volontariamente per paura del giudizio o che, altre volte, non hanno ancora raffinato bene per esprimerle in modo comprensibile alle altre persone. Così possono essere utili domande aperte, come ad esempio: “Quali sono le cose che ti piacciono?” Oppure, se a questo tipo di domande non vengono raccolte delle risposte, si possono porre domande che offrono alternative, come ad esempio: “Ti piacciono maggiormente le attività pratiche o quelle teoriche?”; “Preferisci attività condivise con altri o quelle puoi svolgere prevalentemente da solo?”. Tutte queste domande presuppongono la necessità di pensare a qualcosa di diverso dal solito e lasciano al giovane la possibilità di scegliere “cosa pensare di diverso”.
Fare attività insieme.
Un volta raccolte anche stralci di risposte dal ragazzo, è importante non lasciarlo da solo nel passaggio dall’ideazione alla pratica. In questa fase, anche iniziative semplici, che possono sembrare banali, possono essere in realtà molto utili, quando fatte insieme: fare passeggiate o corse al parco, cucinare, organizzare e prendere parte ad un evento (una festa o una gita), partecipare ad una attività di volontariato, … Una volta partiti dalle attività semplici si può arrivare a quelle più complesse: riprendere in mano i libri, scrivere un curriculum, frequentare qualche ora di lezione a scuola o in università, portare il curriculum ad una agenzia di collocamento, … E’ importante non cadere nel tranello di volere “tutto e subito”! Ogni cambiamento richiede del tempo.
Permettere al ragazzo di sperimentarsi da solo.
Quando il ragazzo ha ricominciato a frequentare nuovamente le lezioni scolastiche o universitarie, a partecipare ad uno stage, a frequentare una associazione di volontariato o a fare una prova per un posto di lavoro, è importante permettere che si sperimenti in prima persona. Sarà lui a vivere questa nuova esperienza. Lui proverà emozioni, positive o negative che siano. Lui ragionerà sull’accaduto e ne trarrà riflessioni proprie. Quello che possiamo fare noi è aiutarlo a trasformare ogni ostacolo superato in una conquista e a concentrarsi prevalentemente su ogni risvolto positivo.
Fare complimenti.
Ogni progresso e ogni mezzo passo avanti va sottolineato con complimenti. Dire “bravo” o “sono contenta di te” fa sentire almeno un po’ appagato il giovane per gli sforzi che sta facendo. Le cose nuove che fa, anche se a noi sembrano elementari, per lui potrebbero non esserlo!
Esprimere affetto e fiducia.
Una cosa importante è far presente al ragazzo, durante tutto il percorso: l’affetto e la fiducia nei suoi confronti. A volte siamo presi dalla quotidianità e non ci ricordiamo di far presente i sentimenti ai nostri cari. Così dobbiamo ricordarci di farlo, anche quando c’è stata una discussione o un litigio, anzi a maggior ragione quando c’è stata una discussione o un litigio. Se il ragazzo si sente amato e degno di fiducia, in modo incondizionato, avrà una carica in più per fare passi in avanti.
Ognuno di questi passaggi è complesso. A volte, per riuscire a percorrere una ripida rampa di scale, è necessario appoggiarsi al cordolo della ringhiera. Così, fuori dalla metafora, può essere molto utile affidarsi ad un supporto esterno per affrontare questo percorso. Per tale ragione sono a disposizione esperti, psicologi e psicoterapeuti, che sanno come affiancare il giovane e la famiglia nel raggiungere quei risultati.
Dott.ssa Valentina Albano, Psicologa Casa dello Studente.